Le mie armi, abbreviando la lotta, ricondurranno fra voi quella sicurezza, che vi permetterà d'attendere con animo sereno e tranquillo a riordinare il vostro interno reggimento".
Ma come mai poteva compiere, sulle alpi Giulie, la grande opera italiana, egli, da una pedestre politica incatenato sul Mincio? - Mai non sarebbe dunque giunto il momento, nel quale avrebbe potuto dire al popolo: la causa è vinta; nè richiedergli il premio della corona ferrea. Gli era dunque mestieri fare il suo contratto anzi tempo; e farsi conferire un diritto su quella metà del regno che teneva, affinchè il popolo non potesse costringerlo a perigliarsi nel difficile acquisto dell'altra metà. Ed era mestieri farlo incontamente; e prima che la languida guerra, e l'immobilità dell'esercito, e le sventure alle quali la sua diplomatica astinenza condannava le città venete, manifestassero il crudele inganno.
Senonchè, doveva egli sembrare sollecitato dai popoli stessi a prendersi anticipata la sua mercede; ed il suo governo provisorio doveva sembrare costretto dal voto publico ad offerirla. A tale intento, i suoi facendieri facevano mover l'onda da lontano. La movevano perfino da Firenze, d'onde il Salvagnoli e il Ricasoli, col pretesto di conferire il premio della cittadinanza fiorentina al Casati e al Borromeo e alli altri indomiti, che avevano "diretto il valor milanese nella gran lutta", scrivevano che i fiorentini (Dio lo perdoni), anzi "tutti i veri italiani, desideravano ardentemente che fosse formato lungo le Alpi un altro baluardo più solido, contraponendo per sempre alli Austriaci un grande e fortissimo Stato, il quale divenisse il vero custode dell'indipendenza e libertà d'Italia". - Quel bell'ingeno del Salvagnoli aveva davvero la febre e il delirio del regno fortissimo e della custodia sempiterna.
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