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      La questione dal deliberarsi non era una sola; e perciò non poteva onestamente ridursi a una semplice alternativa d'un sì o d'un no. Prima si voleva interrogare i cittadini se consentissero o no a sciogliere così tosto il solenne patto di guerra vinta; poi qual forma di reggimento preferissero; e qualora avessero anteposto il principato, se lo amassero commune ad altri stati, come si voleva a Napoli: o veramente solo e separato, come si voleva in Sicilia; e qualora lo avessero voluto commune con altri Stati, era a vedere quali e quanti fossero gli Stati; e se consentissero; e a quali patti d'unione; e sopratutto con quali riserve pel congresso generale d'Italia e per la nazionale unità. Ed era ben possibile che il Piemonte non volesse ai nostri patti accettare; e che ai patti suoi non potesse venire accettato. Onde finalmente poteva rimanere ancora la scelta del principe, o in quella medesima casa, o in altra.
      Se tutte codeste questioni non erano regolarmente discusse e deliberate, in seno a una rappresentanza d'uomini giudicati capaci dai cittadini e da loro deputati a ciò, potevano i servili raffazzonare a forza di male pratiche una vana immagine di votazione; potevano li uomini liberi, per amore di concordia, e per odio supremo al nemico, e per pietà e pudore della patria, e sopratutto per fiducia nel corso ineluttabile del secolo, tacere un momento e soffrire. Ma dissipato un istante quel misero polverìo, avrebbersi veduto accorrere d'intorno il popolo disingannato, e la gioventù sempre sincera e magnanima; e allora non avrebbero potuto rimanere inoperosi, senza farsi giudicare codardi.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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