Compreso io pure in quella commissione, aveva appunto dimandato che i protocolli fossero ad ogni seduta publicati. Il che non essendosi consentito, me ne tenni fuori, persuaso che sarebbe una vana e insidiosa mostra.
In varie occasioni i cittadini dimandarono malleverie del futuro. La guardia nazionale ottenne promessa d'essere conservata, e che non si porrebbe limite alla libertà della stampa e al diritto d'associazione. Ma il governo non ne fece un patto perpetuo dell'unione col Piemonte. E ne diede sicurezza soltanto fino alla prima assemblea, che si sarebbe tenuta insieme alli altri sudditi del re; nella quale la illimitata libertà si sarebbe certamente diminuita.
Pregavano i cittadini che si demolisse il castello di Milano. Ma il governo stette sempre fermo a non demolirlo, pensando forse che il re avrebbe avuto di siffatti arnesi lo stesso bisogno che ne aveva a Genova. Già nella notte in cui Radetzki lo aveva sgombrato, il Casati parlava di mozzar solo due torrioni. Io gli dissi che appunto per l'altezza loro erano poco utili alla difesa, e che si potevano pur tollerare anche come monumenti; ma radere piuttosto tutto il rimanente; poichè un edificio vasto e solido, libero verso la campagna, e messo così nei fianchi della città, ad ogni occasione sarebbe sempre tornato una fortezza. Il Casati fece publicare (25 marzo) che in giornata il castello sarebbe reso inoffensivo; ma veramente levò solo qualche palmo dei torrioni.
In una nota di dimande da farsi al governo, essendosi poi toccato quell'argomento, e chiesta la demolizione di tutti i luoghi forti che potessero adoperarsi a spavento delle nostre città, il Fava, qualificandola come proposizione incendiaria, fece arrestare Pietro Agnelli che l'aveva stampata, e Giulio Terzaghi che dichiarò di avergliela data a stampare.
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