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      Le assidue istanze dei cittadini, a quell'uopo associati da Pecchio e da Mauro Macchi, ottennero dopo tre mesi un nuovo decreto (26 giugno) che dichiarò "destinato il castello a uso civile". Ma furono baie; e il governo provisorio non accondiscese a disfarlo, nemmeno quando vide sovrastare il ritorno del nemico. Il quale può rendergli grazie d'aver trovato ancora quel nido, ove con poche opere esterne può farsi lungamente sicuri contro ogni sforzo dei poveri cittadini.
      Fecero i liberali altre molte dichiarazioni e proteste; ma non procedevano in modo seguente e pertinace. La guerra sembrava essere in cima d'ogni loro pensiero; vedevano i retrogradi e i barbari solo in Austria; e non badavano ai retrogradi e ai barbari che erano in Italia; perchè ogni terra ha i suoi. Alle mene politiche non si pensava di proposito se non dalla gente del re. Inoltre i buoni temevano troppo delicatamente d'esser detti artefici di discordie al cospetto del nemico; e non pensavano, che l'arme più temuta dal nemico era quella parola di libertà che si lasciavano strozzare in bocca. L'Italia cadde altre volte per effetto delle dissensioni. Questa volta, pur troppo, ella cadde per un furore di concordia ad ogni costo.
      Quando poi il governo ebbe spenta la fiamma popolare, e alienati li amici italiani e stranieri, e snervate le finanze, e consegnato l'esercito ai generali del re, e messa ogni cosa nostra in sua balia, e dato al nemico l'agio di riaversi, i servili andavano sussurrando che non conveniva offendere con atti troppo liberi l'unico nostro difensore.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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