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      E ciò era perchè "vestiti com'erano all'austriaca, e con abiti di Ungaresi abbandonati nei magazzini di Milano, avrebbero potuto dare origine a qualche funesto errore"(13). Nè codesto De Perron, era giudizioso e savio ordinatore; anzi, a' suoi detti, parrebbe un insensato anzi che no(14).
      Come non si volevano i veterani, così non si voleva parimenti dar ansa d'agguerrirsi alle guardie nazionali.
      Quando i cittadini milanesi si offersero a marciare in soccorso della Venezia invasa, Giuseppe Durini e Cesare Correnti, incaricati del governo, dichiaravano di poterli accettare solamente a condizione che non portassero "aggravio allo Stato!" E invitarono le generose guardie nazionali, spontaneamente accorse all'appello della patria, a volersi provedere dell'uniforme, e a volersi altresì procurare il fucile possibilmente militare, ottenendolo anche dai privati in dono o in prestito. E citavano li urgenti bisogni della patria, la quale, a detta loro, non poteva fornire nemmeno le trentacinque lire per un miserabile uniforme di tela(15).
      Per quanto il Durini avesse già fatto a guastare in quaranta giorni le finanze, un sì esiguo risparmio non poteva esser la vera cagione per la quale si accoglieva tanto scortesemente l'offerta che i poveri cittadini facevano del sangue loro a salvare i fratelli veneti. Dovevano essere misteriosi ordini del magnanimo padrone. E più volte si vide chiaro come non si amassero in mano alle guardie nazionali i fucili di portata militare. Tosto o tardi la frodata popolarità doveva giungere a tristo fine; e quelle armi dei cittadini si sarebbero ritorte contro i traditori.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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