Ma tende a provare, che, per quella venefica influenza dell'anticamera, del confessionale e della polizia, la guerra regia cadeva necessariamente in mano ai più ignari.
Qual era lo stato maggiore, tale era l'intendenza dei viveri. Per la misteriosa convenzione del 26 marzo, il governo provisorio doveva fornirli; ma i commissarii del re dovevano amministrarli. E pare che nessuno ne dovesse render conto. Ne addivenne che ognuno di quei soldati ci costò il doppio del necessario. Eppure l'esercito patì la fame!
Si dimandò per ogni soldato 28 once di pane, 9 di carne, 9 di riso, mezz'oncia di lardo e di sale, mezzo bocale di vino. Il nostro tesoro ne pagò una quantità doppia; altra roba senza termine fu somministrata dalle città, dai communi, dai privati, sì per li ospitali che per li alloggiamenti. L'esercito non fece mai lontane marcie, dietro cui non potessero seguire i magazzini; si aggirò sempre a una giornata di marcia da quell'eterno Goito e quell'eterna Peschiera. Eppure patì la fame!
I trasporti sul campo di battaglia non erano affidati a un corpo regolare; ma bensì a carrettieri avventizii, non soggetti ad alcuna disciplina o regolare comando. Il generale stesso chiede: "come aver fiducia che quelli uomini, senza alcuno che li dirigesse, e non conoscendo che la loro volontà, avrebbero, specialmente di notte, eseguito li ordini che loro venivano dati"(23).
Li effetti dovevano essere, nei fatti d'arme, gravissimi, decisivi, fatali. "Il ritardo nel ricevere i viveri impediva la partenza all'ora prescritta"(24). "Il duca di Genova mi fece sapere non poter egli partire alle ore undici, sempre a motivo del ritardo dei viveri.
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Goito Peschiera Genova
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