Colonne di volontarii, invano contrariate da Carlo Alberto, venivano da Genova, da Alessandria, da Casale, da Aqui, da Saluzzo. La Toscana, la Romagna, il regno di Napoli si apprestavano alla crociata nazionale.
Smarriti in quel vasto moto, i generali stranieri si chiedevano fra loro a vicenda un soccorso che non si potevano dare; i loro dispacci venivano portati a noi. Scriveva nel 20 marzo il comandante di Verona : "È verosimile che il reggimento Fürstenwerther sia rattenuto a Venezia dal tenente maresciallo conte Zichy; e finchè non arrivi, è impossibile lasciar partire di qui il reggimento Arciduca Ernesto; perchè da un minuto all'altro la ribellione può farsi aperta. Tutti portano nastri tricolori; si allettò il popolo con pane e con vino. L'autorità dei magistrati non ha più forza".
Scriveva nel 19 marzo un figlio del vicerè: "I signori distribuiscono denari e coccarde tricolori; tutti girano tumultuando, e gridando viva l'Italia. Abbracciano i Croati come fratelli; e lo stesso fanno al caffè Bra colli officiali, che sembrano assai titubanti. Portarono intorno sulle spalle un officiale delli ussari, gridando evviva ai fratelli ungaresi!". E nel dì seguente scriveva : "In casa abbiamo sempre due delle loro guardie. Oggi pretendevano già di mettere un posto ad ogni porta della città e ad ogni castello; e dicesi che invece di quattrocento, siano già armati mille e cinquecento; i quali alla prima occasione agiranno contro le truppe".
Così nelle grandi piazze d'armi di Venezia, di Verona, di Mantova i presidii consueti non potevano resistere all'impeto delle popolazioni; e se vi si rifugiavano altre forze, non vi era proporzionata copia di viveri; poichè la rapacità dei capi li aveva sviati.
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