L'esercito di Radetzki si travagliava intanto a trarsi fuori di Milano. Uscito all'alba del 23, si trascinò quel giorno fino al ponte di Marignano sul Lambro, e lo trovò rotto. Una mano di giovani, si dice che fossero quarantacinque, osò fargli fronte; e sulle prime avevano messo le mani sul generale Wratislaw; ma poi la soldatesca empì d'ogni parte il paese, incendiò molte case, scannò, saccheggiò; rimise il ponte. Vivendo essa omai da una settimana a cielo scoperto, sotto dirotte pioggie, tratto tratto senza pane, funestata notte e giorno dal furore dei popoli, appena toccò Lodi, appena vide salvo il ponte dell'Adda, si sdraiava in terra, appiè delle case, rotta di fatica e di fame. Li officiali erano avviliti; udendo della fuga di Metternich, dello sconquasso delle finanze, dell'agitazione universale in Boemia, in Polonia, in Ungaria, perfino nel santuario di Vienna, credevano disfatto l'imperio, pensavano allo scampo; molti abbandonavano i loro battaglioni. Nel basso Bresciano i sollevati presero uno stuolo di sessanta officiali fugitivi, con due colonelli e uno dei fratelli Schönhals, prussiani di nascita, credo, e predicatori all'esercito di furibonda teutomania. Mi si fece dimandare se si potesse per avventura procurare una pensione vitalizia a certi officiali dello stato-maggiore, ch'erano disposti a fare qualunque nostro desiderio. La somma richiestami poteva equivalere al capitale d'un mezzo millione; ma si dimandava che la promessa fosse firmata da tre membri del governo provisorio.
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