Aveva avuto incirca 10 mila disertori, 7 mila prigionieri e feriti, e 4 mila morti; onde coi 7 mila imbarcati a Venezia, la diminuzione avvenuta nei cinque gloriosi giorni saliva a 28 mila combattenti; erano due quinti dell'esercito. Vuolsi poi computare il molto materiale di guerra e di marina lasciato in Venezia, e nelle minori fortezze di Comacchio, Palma Nova, Osopo, Rocca d'Anfo, Piacenza, Pizzighettone, nonchè in Milano e tutte le altre città. Credo che in Piacenza fossero da cinquanta cannoni, perchè quei cittadini da principio ce li offersero; ma il governo provisorio non si curò di mandarli a prendere.
Restavano dunque al nemico in tutto il regno 42 mila uomini, fra i quali erano ancora molti italiani; una parte delle forze era avvinta alla custodia di Ferrara, Legnago, Mantova, Peschiera e Verona; una parte errava col Daspre intorno a Padova; una parte, uscita dalle diverse città, cercava raccozzarsi, ed era facile intercettarla. Infine le ferite e le infermità dovevano a guerra rotta, e sotto il nostro cielo, diradare ben presto ciò che rimaneva. Al contrario, le nostre forze dovevano accrescersi ogni giorno e per numero e per arte.
Lasciate a parte le forze regolari e irregolari conferite da tutta la rimanente Italia, giova indicare qual fosse la forza e composizione dell'esercito condutto in Lombardia dal re.
Nel primo corpo, comandato da Bava, le due divisioni Arvillars e De-Ferrère erano composte dalle brigate Regina e Aosta l'una, Casale e Aqui l'altra, rispettivamente sotto i generali Trotti, Aix di Sommariva, Passalaqua, Villafalletto.
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