Il re frattanto non pensava intensamente se non a sollecitare, contro i patti, la sommissione della Lombardìa. E qui è tempo di dar cenno seguìto dei fatti del suo esercito; il che faremo valendoci delli scritti del Bava e del Ferrero.
Il 23 di marzo, passava il Ticino; entrava in Pavia; il 5 aprile, era all'Ollio; l'8 al Mincio; furono ottanta miglia in quindici giornate. Quando era a Lodi, il nemico era a Crema, lontano dieci miglia. Invece di passar l'Adda e andarlo a urtare nella sua confusione, si volse a destra verso Piacenza; era il rovescio preciso della marcia di Bonaparte. Sul Mincio, il nemico mal destro, nel far saltare il ponte di Goito, lasciò sussistere il parapetto. Privo poi, come già si disse, di cannonieri, fu costretto in breve dal foco superiore dei Piemontesi ad allontanarsi. "Fu allora che alcuni soldati ebbero il coraggio di passare sul parapetto, e inseguire il nemico che si ritirava a precipizio"(57). Si fece un centinaio di prigionieri; ma rimasero feriti tre valenti officiali, Della Marmora, Maccaroni e Wright. Nel dì seguente, fu arso il ponte di Monzambano; ma venne tosto ristabilito dai regii, che vi ebbero due feriti. All'11 si prese senza contrasto anche l'altro ponte, tra Borghetto e Valleggio; poichè Radetzki, non potendo tener la campagna, e pensando ad assicurarsi nelle fortezze contro i cittadini ricalcitranti, e fornirle di viveri, aspettava i soccorsi dal Tirolo e dal Friuli(58).
Per nostra disavventura i generali del re non incalzavano la fortuna.
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