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      E qui si consideri con quale atroce immoralità quei generali dimenticassero che questa non era solo guerra di principi, ma eziandío di popoli e di ribellione; e che le città, dovendo aspettarsi crudeli vendette, non erano da prendere e lasciare, come se fossero mere posizioni militari, selve o sassi, e pezzi da scacchiera.
      Col sanguinoso sacrificio di qualche migliaio d'uomini, il nemico espugnò il monte Berico che signoreggia Vicenza da mezzodì. Il Durando, non avendo avuto forse intenzione vera di combattere, aveva accumulato soverchia parte delle sue forze entro la città; il nemico, potè farsi perciò padrone del monte,(75). e di là fulminarla irresistibilmente, per sette ore continue. Durando aveva dichiarato potersi difendere per otto giorni; doveva dunque essersi accertato d'aver quanto era necessario. Ma, cme tutti i generali del re, amava meglio le capitolazioni che le battaglie disperate; amava meglio salvare le città che difenderle; e mise fuori per la prima volta quella brutta formula, che, dopo simiglianti promesse, venne applicata similmente a Milano : non esservi munizioni nel magazzino; il generale aver pensato a salvare la città, assicurando alli abitanti la vita e i beni e la licenza di partire coi soldati. Similmente come poscia a Milano, si videro i soliti strepiti e furori, che nelle città tradite succedono alla cieca e tracotante fiducia nei traditori. I cittadini, che avevano disertato l'antica madre Venezia, per fondersi nel regno fortissimo, e mettersi in mano di generali che sentenziavano esser meglio lasciarli in balìa del nemico, uscirono a turbe, colle donne, e li infanti e i feriti, piuttosto che soffrire entro le loro case l'arroganza dei barbari, e vederli depredare e contaminare la gentile loro città. E li altri Veneti, che poche settimane prima, avevano trovato nella coscienza della libertà il coraggio di resistere, or quasi snervati e fatati da servile e immorale influenza, cedettero con inopinata facilità.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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