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      Ma il re aveva per un guadagno il liberarsi dalli alleati.
      Volendosi poi affacciare all'Adige, era inutile il farlo a Rivoli, tanto sopra Verona e sì lontano dal nemico; ma sì sotto Verona, presso la foce dell'Alpone, e più presso che si poteva a Vicenza, in modo di fargli temere del ritorno in Verona, Non v'è là in faccia il glorioso argine d'Arcole e il colle di Caldiero? Che se i nemici si ritorcevano ad assalirlo con tutte le forze, poteva rinovare al ponte dell'Adige la difesa già fatta al ponte di Goito. E avrebbe avuto un vantaggio che a Goito non aveva, d'essere sulla giusta sua base, col Mincio alle spalle e Peschiera sua. In quel giorno 10 di giugno, l'esercito italiano, computati i Veneti, Romani, Svizzeri, Parmigiani, Modenesi, Napolitani, Toscani era doppio per lo meno di quello del nemico, e ancora pieno di spiriti generosi. E il nemico, facendo pur troppo grandissimo assegnamento sulle titubanze del re, e sull'imperizia strategica e topografica de' suoi consiglieri, aveva dimenticato in quel giorno tutte le consuetudini della prudenza militare; e aveva abbandonato sprezzantemente ogni base di guerra. Se i regii lo avessero prevenuto dietro l'Alpone, egli avrebbe dovuto assalirli a condizioni sfavorevoli; poichè, se non vinceva subito e appieno, non rientrava in Verona. Perduta Verona, era impossibile rimanere in Italia; poichè Mantova, nella stagione che correva, gli avrebbe consunto l'esercito in pochi mesi.
      Vicenza fu attorniata il 9, cannoneggiata il 10, aperta l'11. "Il re ordinò, dice il generale, alle nostre truppe di riunirsi nel successivo giorno 12 presso Roverbella, Valleggio e Sona; onde concentrarsi il 13 presso Villafranca, per marciare sopra Verona, e tentare colà un colpo di mano, durante l'assenza del nemico"(78). Ora, fin dal 13, il nemico vi era già tornato vittorioso.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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