Discendevano sul Po a interrompere la navigazione per Venezia, e sommovere in Modena i settarii del Duca; e dal Tirolo, troppo stoltamente lasciato loro in preda, salivano ogni istante a tentare l'entrata delle nostre valli, annidandosi omai stabilmente sopra il lago d'Idro. Eppure, dopo la caduta di Vicenza, il re stette per pił d'un mese marmoreamente immobile. L'esercito, stagnante nelle sue trinciere, non aveva pił l'ardore primamente concepito nel tocco d'una rivoluzione e nella coscienza di combattere una guerra generosa. Era indebolito anche di numero per i molti feriti e infermi. Allora apparve quanto avesse errato il re nell'attraversare l'ordinamento dell'eserciti lombardo, nell'umiliare i volontari, anzichč disciplinarli e guidarli, nel ributtare li ausiliarii stranieri, nell'abbandonare senza soccorso i combattenti veneti, toscani e romani.
I liberali, che finalmente avevano impugnato li strumenti dell'opinione, additavano nei giornali il pericolo della patria; un moto universale di riprovazione surgeva contro il governo; il quale, vaglia il vero, mostrava pił sgomento delle invettive del Cernuschi nell'Operaio, che non della ruina dei Veneti. Infine quei signori, dopo tre mesi di facinorosa ignavia, si atteggiarono a repentina e convulsiva sollecitudine; e il 25 giugno, con una simultanea salva di ordinanze, decretarono che andasse immantinente e per battaglioni al campo; decretarono leva straordinaria di coscritti; richiamo di tutti i veterani che avevano dispersi, e non solo dei giovani, ma dei quadragenarii, offrendo anzi a tutti lo stipendio di caporali; rinovarono la logora promessa di smantellare il castello di Milano; fecero allocuzioni ai parochi; dimandarono in prestito li argenti delle chiese; congedarono il ministro Collegno, benchč accettassero poi nel generale Sobrero un successore egualmente svogliato; protestarono, e quasi giurarono in nome del magnanimo re, non esser vero che si tramassero armistizii sul Mincio.
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