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      Tutta la montagna era libera, e dietro i monti la Svizzera e la Francia; Venezia era nostra; e per salvare Milano combattente, nessuna delle città vicine avrebbe negato un drappello d'ausiliarii; e per poco che si tenesse fermo, si poteva ricevere qualche maggiore e più militare aiuto. E il popolo poteva sperarlo, perchè combattendo aveva diritto a dimandarlo; e forse la speranza sola del soccorso gli avrebbe dato forza di vincere; poichè la prima forza è nell'animo. A nome del popolo si poteva dimandare alla Svizzera quello stesso esercito ch'era pronto per noi in aprile. Nè le ricchezze della Lombardia erano in quattro mesi consunte, sicchè non si potesse stipendiarlo generosamente. Bastava che non fossero al timone li avari e i loro facendieri; bastava l'imminente pericolo. I cinquanta millioni che il ladrone nemico potè tosto emungere ai vinti, non sarebbero mancati ai combattenti e ai vittoriosi.
      Ma poteva il re soffrire che tuttociò avvenisse? Che avrebbe detto il mondo, se quando egli co'suoi soldati fuggiva, si fossero veduti i cittadini farsi intrepidi e affrontare il nemico? Io credo anzi che Piemontesi e Savoiardi, quando pure si fosse voluto ricondurli alle case loro, al primo suono del cannone sarebbero tornati a turbe sotto le nostre mura, anche senza i generali e senza il re.
      Poniamo che il nostro popolo fosse stato vinto, e la città sconvolta dalle mine, saccheggiata e arsa; qual grido di maledizione non si sarebbe levato contro il re seduttore che avesse potuto farsi da canto e rimirare in ozio quella ruina!


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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