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      Poniamo al contrario che il popolo avesse avuto costanza e fortuna; che avesse potuto tenere le orde straniere a marcire quindici o venti giorni nel fango delle inondate vicinanze; che avesse fatta qualche notturno assalto di baionette ai quartieri nemici; insomma, ripreso e continuato col primiero animo il combattimento di marzo. Poichč qui non si parla di cose strane e impossibili. Doveva il re lasciare alla causa popolare siffatto trionfo? concederle un esperimento cosė splendido della sua potenza? La causa del regno era perduta e scornata.
      Ma si ponga pure che il popolo avesse rinovato il sacro patto di guerra vinta, anzi, che a guerra vinta il voto dei pių fosse stato d'inalzare in Milano un trono, non si sarebbe potuto, per fermo, pių assumervi il re disertore. E sarebbe stato mestieri cercare in altro sangue il re della nuova Italia; e il re dei vittoriosi sarebbe stato al vinto Carlo Alberto un vicino ben pių molesto d'una republica. Genova avrebbe voluto esser sua; sarebbe stato mestieri restituire alla corona ferrea tutte le prische gemme. Perocchč la via del Sempione č fattura nostra; la Lomellina č nostro patrimonio; Alessandria č un monumento della nostra libertā.
      Diciamo dunque che il re nč poteva pių difender Milano col solo esercito suo; nč poteva sinceramente ed efficacemente associarsi il popolo: nč poteva invocare alleati; nč finalmente ritirarsi dalla guerra se il nostro popolo avesse perseverato a combattere; perocchč sarebbe stata ignominia lasciarlo perire; e sarebbe stata dappocaggine lasciarlo vincere da sč, sia poi ch'egli si avesse a costituire in republica, ovvero in regno.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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