Insomma: o la casa di Savoia, o da capo la casa d'Austria.
Così è; non si doveva lasciare intervallo di luogo o di tempo tra Carlo Alberto e Radetzki. I soldati del re non dovevano essere più d'una tappa lontano da quelli del maresciallo. E in Milano non dovevano uscire di Porta Vercellina, se il nemico no era messo in potere di Porta Romana!
Tale era il quesito da sciogliersi; vediamo a parte a parte come fu sciolto.
La prima cosa da farsi era fomentare quanto più lungamente si potesse una falsa sicurtà, affinchè i cittadini non avessero tempo da raccapezzarsi, nè aprirsi altra via di salvamento. Il nemico era pericolosamente vicino; la distanza da Peschiera a Milano si stima d'80 miglia. Il general Salasco fece bandire altamente la vittoria del re. I diecimila nemici che avevano sforzato a cannonate il passo del Mincio, la mattina del 24, prima che la battaglia del re cominciasse, erano al suo dire, "una banda dispersa; i battaglioni di Monzambano non durerebbero fatica a impadronirsi anche di quei pochi fuggiaschi; l'importante era d'aver distaccato da Verona il corpo di Radetzki; a dimani lo sconfiggerlo e farlo prigioniero!"
Nel giorno stesso che i generali comparivano inanzi a Radetzki a supplicarlo dell'armistizio, si publicava alla sera a Milano : "l'esercito conserva la sua numerica superiorità; un esercito di 60 mila combattenti deve ispirare una gran fiducia." Ancora la sera seguente si publicava che l'esercito "era schierato a Goito, in perfetto ordine di battaglia". Un maggiore, mandato a Peschiera dal campo dei volontarii, per avverare le tristi apparenze che si scorgevano dall'una all'altra riva del lago di Garda, giunse "nel momento, egli scrive, che un corriere del campo apportava in Peschiera la falsa novella della presa di Mantova e dell'entrata del duca di Genova in Verona.
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