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      Il comandante di piazza mi fece arrestare, e il generale comandò di sorvegliarmi. La verità penetrò infine; ma non per questo si dimise il proposito d'ingannare i popoli e tradire i volontarii. Era fra questi una voce: a Milano, a Milano! Ma quell'ardore, anzichè fomentato, venne represso. Si ripeteva, ancora e sempre, che l'esercito regio basterebbe a tutto; che li Austriaci sarebbero ben presto in ritirata; che i volontarii dovevano attenderli al varco, al ritorno, e annientarne le reliquie.(86)"
     
      Dalla presunzione della vittoria si volle che il popolo di repente piombasse nell'avvilimento della disfatta; poichè, prima di udirla, ebbe, per così dire, a vederla nelle turbe di soldati fuggiaschi, che vennero con perfido consiglio sospinti verso Milano. E senza necessità e senza verun pudor militare, attraversavanla da un capo all'altro, scalzi, scollati, laceri, col capo involto in luridi fazzoletti, con visi scarni e febrili, fra lo stupore e lo sgomento del popolo, non senza pietà veramente, ma eziandío non senza sdegno dell'improviso disinganno.
      E qui abbiamo diritto ad affermare che non si poteva dirigere a quella volta la ritirata se non per un malvagio proposito.
      In truppe sbandate il disordine cresce ad ogni marcia, e peggio se di notte; i vigorosi si dilungano sempre più dei deboli e dei pigri; le compagnie si mischiano, i capitani perdono ogni autorità, i soggetti ogni rossore; si fanno accattoni; la fame, la sete, le ferite, le miserie tutte non riparate si aggravano.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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