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      Il governo promise, ma temporeggiò in quella suprema urgenza un giorno intero; nominò infine il general Fanti, il dottor Maestri e l'avvocato Restelli. Erano uomini valenti e onesti, e amatori più o meno aperti di libertà; anzi pare che due di essi fossero proposti dal Mazzini; ma il popolo non aveva avuto campo a conoscerli. Fanti era venuto allora di Spagna, e non era forse mai stato in Milano. Infine il comitato di difesa non era supremo e dittatorio. Nè il governo si dimise; nè seppe sciogliere almeno sè medesimo dalle reti del re. Quando il comitato mi richiese cortesemente dell'opera mia, gli scrissi che si facesse publicamente riconoscere dittatore e padrone. Non accettò il consiglio, e fu cosa fatale.
      Anzi chè concentrare le forze e accelerarle, i facendieri le allentavano e stemperavano, adunando a verbose e molli consultazioni gente d'ogni colore, e di vario anzi contrario proponimento. Invitato e sollecitato da Restelli, mi recai, non mi ricorda se il 29 o il 30, a un'adunanza nel palazzo Marino; vi trovai uno o due generali del re, credo Sobrero, poi Mazzini, e il general Zucchi, e Garibaldi in tunica scarlatta, il conte Arese, il poeta Berchet, Filippo de Boni e non so quanti altri contraposti. In quella ch'io entrava a crescere quello strano miscuglio, si stava conchiudendo che si dovesse in primo luogo determinare le cose da farsi per difendere la città; e in secondo luogo le facoltà dittatorie da conferirsi al comitato di difesa testè eletto. Il primo punto dava materia senza fine; ed era un porre il carro inanzi ai buoi; poichè la dittatura era l'atto preliminare che doveva dare a tutti li altri vigore, ardimento e velocità, e ove fosse necessario, secretezza.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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