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      Quale stranezza non era mai stata quella di lasciarci toglier quasi di mano i nostri nemici; e delegare il materiale incarico d'una guerra morta a uomini che non avevano sofferto ingiuria, e non sentivano passione alcuna ! Così è; la guerra regia non poteva esser più che un sanguinoso tornèo.
     
      Intanto rimaneva chiuso in Peschiera il quarto reggimento provisorio coll'artiglieria d'assedio. E i generali e ministri, sempre svogliati e traditori in ogni cosa, non avevano, dopo due mesi di possesso, rifornita la piazza di grani e di foraggi, nemanco di sale. E il nemico non tardò, come il re, a bombardarla; fece fare immantinente undici batterie, due delle quali incrociando i fochi, interdissero ogni accesso al lago, ove stavano ancora i volontarii. Già, quattro giorni dopo la presa di Milano, era esplosa la polveriera e distrutta la caserma dell'artiglieria, quando al 12, arrivò il cavalier Feccia di Cossato, e consegnò la fortezza al nemico, per ordine del re; e in quella malnata furia di dare ogni cosa al nemico, lasciò in sua balia il parco d'assedio, che ora poi vanamente si riclama.
      Aveva parimenti promesso il re di consegnare i forti d'Osopo e d'Anfo; i quali erano acquisto nostro, e non erano mai stati in potere delle sue truppe. Ma Osopo non badò a quei vili accordi, e continuò fino a settembre la difesa cominciata in aprile.
      Rocca d'Anfo fu consegnata da un altro Durando, fratello del salvatore di Vicenza. Fatto comandante generale dei volontarii, egli lasciò senza contrasto occupare da cinquecento nemici l'alta valle del Càffaro, ch'è la chiave di tutti quei monti.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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