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      Saverio Griffini, che aveva avuto la disgrazia d'esser fatto generale dal re, lo obbedì consegnando al nemico Brescia; e condusse fuori di paese cinquemila volontarii. Sia per poca cognizione di carte, sia per simulare intenzione di resistenza, partendo da Brescia prese la via dei monti; e a stento potè trarsi fuori del passo d'Aprica, ch'è quasi impraticabile ai cannoni; ricusò di spazzar via cinquecento nemici che sorprese isolati e spaventati in Val Tellina; consegnò uomini e armi ai Grigioni.
      Garibaldi fu il solo che tentasse servare accesa la sacra fiamma; ma era troppo tardi. La gran giornata era al tramonto; era mestieri rassegnarsi, per cominciarne dall'alba un'altra con meno infidi auspicii. Garibaldi non seguitò il consiglio da noi mandatogli, d'inoltrarsi subitamente nell'ampio labirinto delle montagne che ingombrano tre quarti delli stati imperiali d'Italia; di trarre a sè le migliaia di volontarii, di regolari, di cittadini erranti; torli di mano a Durando e Griffini; rannodarsi a Venezia e Bologna che stavano impavide; profittare dell'immobilità del nemico, confitto ancora in Milano, e non senza sospetto del ritorno del re, o della venuta di soccorsi francesi. Ma per fatale attrazione verso il Piemonte, Garibaldi preferì rimanersi tra il lago Maggiore, la Svizzera e il nemico, in luoghi ove, non potendo moversi, o doveva tener piè fermo contro una forza maggiore, o ricadere in breve sulla frontiera e lasciarsi disarmare. Tuttavia lasciò co' suoi fatti d'arme una profonda impressione di terrore nel soldato nemico.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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