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      Fra le sue sventure il nostro popolo ha raccolto due tesori: un tesoro d'odio; e lo deve al nemico stolto e feroce, che non seppe adoperar la vittoria se non a farsi aborrire: un tesoro di fiducia; e lo deve a sè medesimo, perchè sa quanto ha potuto e quanto può.
      Milano non sapeva di potersi destare una matina e senz'armi scacciare ventimila soldati; nè Vicenza d'esser per virtù de' suoi cittadini una fortezza; nè il Cadore di poter divenire isola inaccessibile in mezzo a un imperio nemico; nè Venezia sapeva d'esser sempre signora delle sue lagune, e d'avere ancora in sè la serena costanza de' suoi tempi antichi.
      E il Piemonte può volgere a salute la sua disfatta. Perocchè vide qual floscia tela fosse quella della milizia del re; vide i capitani ignari, improvidi, infidi, tentennatori, armistizianti, capitolanti, in somma traditori. Vide sparire sul campo li sparire bellimbusti di corte; vide dalla più fertile terra d'Europa riedere scarni e famelici i battaglioni; e dopo tanto nome d'esercito, e tanta minaccia di scrittori, seppe d'avere avuto soli ottomila esperti soldati, e di aver mancato delle più necessarie membra della milizia campale. Ma poco sarebbe, se da questa dolorosa prova solo uscisse il Piemonte con un esercito meglio raffazzonato e capitanato. La maggior ventura di quel regno si fu, che a preparativo di guerra e lenocinio di conquista, abbia il re mandato inanzi la libertà molta o poca della stampa, la impunità della parola, la ricognizione più o meno intera del diritto che ha il popolo d'amministrare per mano delli eletti suoi la cosa sua.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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