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      E i Ticinesi, lembo di popolo rapito dalla libertà elvetica ai nostri conquistatori, si mostrarono fratelli, prima colle armi, poi coll'ospitalità, indarno combattuta e dall'Austria, e dalla Svizzera e dall'artificioso Piemonte. E in questo pure si vide, che oggidì non v'è altro possibil vincolo fra i popoli che quello della nazionalità, ossia della lingua. L'alto consiglio elvetico, colla poco onorevole accoglienza alli esuli italiani, mostrò di sentirsi magistrato d'una maggioranza germanica; rinegò la impassibile neutralità della Svizzera antica; antepose il nemico austriaco al federato svizzero; dimostrò quanto più possa il vincolo naturale della lingua che non il fattizio nodo dei patti. E la Savoia pure sembrò accorgersi, dopo secoli, d'esser parte del popolo francese. E così tutti codesti edificii, modellati sul principio cosmopolitico della chiesa e del sacro romano impero, tendono a rifarsi sul lucido e puro e perenne principio delle nazionalità.
     
      L'errore più grave, assai vulgare però in Italia, e generale in Europa, si è che la causa italiana sia questione principalmente, anzi unicamente, militare. Giova ripetere: l'Italia non è serva delli stranieri, ma de' suoi. L'Austriaco venne in Italia e vi può rimanere solamente come mercenario d'una minoranza retrograda, la quale si conosce impotente a dominare da sè la nazione. E l'Austriaco si è perduto per l'arroganza sua di far da padrone, ove i suoi patti erano solo d'essere il servo armato, e l'aguzzino d'un popolo che monsignori e ciambellani volevano tenere in catena.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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