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      Come mai ottantamila stranieri, che vengono da una regione povera, semibarbara e discorde, potrebbero opprimere colla nuda forza 25 millioni d'un popolo, cui la natura privilegiò di sì alto animo e sì vario intelletto? Come lo potrebbero, se non combattesse per loro l'ambizione e la perfidia dei prelati e dei cortigiani? E' fatto che ventimila di codesti guerrieri, con sessanta cannoni, furono scacciati in cinque giorni dal popolo d'una sola e disarmata città; - che quattromila, i quali al 18 marzo erano di presidio in Vicenza, ne uscirono senza contrasto, anzi implorando la scorta si sessanta cittadini armati, che li proteggessero dalle popolazioni del contado; - che 18 mila furono, il 20 maggio, vergognosamente respinti a Vicenza da duemila Romani, cento Milanesi, e millecinquecento Vicentini; - che altre migliaia in Brescia e in Bergamo, altre centinaia in Varese, in Como, in Colorno, in Palma Nova, si capitolarono o si diedero prigioni; - che settemila in Venezia si lasciarono imbarcare, assai più agevolmente che non sarebbesi fatto di settemila capi di bestiame; - che in ottobre ventimila uomini di codesta snervata soldatesca erano fuori di combattimento, accovacciati nelli ospitali. E ottantamila di costoro saranno l'insuperabile ostacolo ai destini di venticinque millioni di popolo italiano? - No, non è questo!
      Armasse il Piemonte, non centomila soldati, ma cinquantamila, non dico meglio ammaestrati e ordinati, ma solo non capitanati dai camerieri del re.
      Nella proporzione medesima, e assai mite, dell'uno per cento incirca della popolazione, tutta l'Italia darebbe 250 mila soldati, e potrebbe agevolmente sostenerli.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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