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      Perocchè tra Carlo Alberto e i Salasco, i Pinelli, i Sommariva, i Lazari, i Cossato, li Olivieri, i Monetzemolo, li Allemandi, i Cuggia, i Bava, i Durando e tutti quanti, non è differenza alcuna. E grande e fatale è pure la similitudine ch'è tra quei reprobi, artefici della nostra ruina, e li Azelio, i Balbo, i Gioberti. Sono tutti impedimenti all'unità d'Italia, impedimenti alla libertà, impedimenti alla guerra passionata, veemente, vittoriosa. Insomma, sono tutti appigli e amminicoli alla potenza straniera. No, all'indipendenza non si perviene, se non per via della libertà.
      Non vedono ancora, nemmeno i migliori, in Piemonte, quanto splendore e quanta potenza sia nel nome d'Italia e di Roma. Non intendono quale incanto sia nella speme della libertà, che al pari d'ogni altra bellezza è ancor più cara, desiderata, che posseduta. Appetiscono, ancora, e sopratutto, d'essere accettati servi in corte; d'andare a messa col re; sognano beatamente di ricevere dalla sua meno un ciondolo, una chiave d'oro, e d'essere fatti degni di sporgergli la coppa, o il piatto, o peggio. Io so che i facendieri Giuseppe Durini e Andrea Lissoni, quando, andati a Torino per compiere il baratto della fusione, videro dappresso la millenaria monarchia, quando videro le parrucche che con devozione di vestali vegliano a conservare quel masso di perenne gelo che divide due grandi e generose nazioni, esclamarono : qual deforme vecchia abbiamo sposato !
      E alle servitoresche ambizioni di corte sono complici molte famiglie illustri di Genova, di Milano, di Piacenza, di Bologna, e perfino di Firenze e di Venezia, che ignare o immemori dei loro domestici fasti, immemori dei padri loro che fecero la lega di Pontida e affrontarono la lega di Cambrai, non sanno che il loro posto è avanti ai popoli, non dietro ai re, nè a chicchessia.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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