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      Non sanno quanto l'Europa li abbia sprezzati e ancora li sprezzi; poichè li vide come in letto di rose, sdraiati sul letamaio della nazionale servitù. Sarebbe tempo che si rizzassero alla sublime superbia della libertà; nè soffrissero sopra il capo loro più altro che la Legge e Dio; e imparassero dall'antico popolo fiorentino, il quale, quando aveva più scienze e più arti che non tutta la rimanente Europa, non volle altro re che Gesù Cristo. Il loro officio oggidì non è di fregiare della servile loro presenza le anticamere dell'ossequiosa Torino, ma d'assistere al risurgimento della libera Italia in Roma.
      E i Milanesi particolarmente e i Cremonesi e i Bresciani, i quali, non famelici, nè accalappiati da militare giuramento, accondiscendano a rimanersi in Piemonte, e pongano anzi mano in quelle publiche rappresentanze, se ancora non intendono che furono traditi due volte, e che tosto e sempre lo saranno, sono ebeti al tutto e orbi dell'intelletto. E se intendendo e credendo, prostituiscono tuttavia la persona loro nel corteo del traditore, non mostrano dignità d'uomo; e insultano alle miserie della patria. Il popolo se ne ricorderà un giorno. E più facilmente oblierebbe d'averli visti ciambellani dell'Austria: perocchè traditore è peggio che nemico.
      Molti sono in Italia propensi ancora a comperare a prezzo della libertà e della unità li aiuti dell'esercito regio; sono uomini lenti alla speranza, pronti al dubio e al timore; non confidano nella guerra di popolo; bench'egli avesse pur vinto i vincitori del re!


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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