Come vediamo tuttavìa nelle sparse reliquie della vegetazione virgìnea, surgèvano nude le vette alpine, ammantati di pàscoli naturali i larghi dorsi della regione calcare, irte di selve conìfere le somme pendici, più sotto frondose di faggi e di betule, poi di quercie, d'àceri e d'olmi, che ampiamente scendendo unìvano i monti ai colli e all'altipiano, vestito d'èriche e sparso di rara selva. La campagna uliginosa e le pingui golene dei fiumi dovèvano esser dense di sàlici e d'alni; lungo le tèpide scaturìgini delle correnti sotterranee, doveva qua e là verdeggiare, e fors'anche nel verno, qualche spontaneo lembo di prato. Ma sui clivi eretti al vivo sole, sulle miti riviere dei laghi ignare quasi di nebbie e di geli, fra le suavità d'una flora naturalmente australe, poteva facilmente mitigarsi anche la fiera vita del selvaggio. - Folte turme di cervi, d'uri e d'alci dovèvano pàscere la pianura, lungo i plàcidi stagni ai quali il castoro lasciò il nome di Bèvera e Beverara; le generazioni, ora fra noi quasi estinte, de' dàini e de' camosci dovèvano animare il silenzio dei recessi montani. Ma solo l'amor della caccia, o il timore dei nemici, poteva incalzare le prime tribù di rupe in rupe sino a piè di quegli òrridi precipizj, ove le vallanghe e la tormenta e il notturno rintrono de' ghiacciaj atterrìvano le menti superstiziose, e dove il forte alpigiano, che ha cuore d'inseguir veloce le pedate dell'orso, anche oggidì non sa, in faccia alla taciturna natura, difèndersi da quella tetra e arcana ansietà ch'egli chiama il solengo.
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Bèvera Beverara
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