Dimoràvano all'aperta, e per lo più lungo le aque, in tugurj rotondi, costrutti di tàvole e graticci e terra pesta e con acuto tetto di strame; non si curàvano di supellèttili, dormìvano sulla paglia; mangiàvano a tàvole rotonde assài basse, sedendo sopra manìpoli di fieno, coi loro scudieri seduti in altro cìrcolo dietro ai signori; bevèvano in giro a pìccole e frequenti riprese, in una sola conca di terra o di metallo; appena conoscèvano il pane; mangiàvano molta carne; e ciascuno "ne prendeva a due mani un gran pezzo, e lo addentava come un leone" (leontodôs taîs chersín amphotérais aírontes hóla méle, kaì apodáknontes. Posid. ap. Ath.); dopo il convito si provàvano in duelli, che spesso èrano mortali, nè altra pare l'orìgine dei gladiatori che tardi s'introdùssero fra i Romani. Sulle persone loro facèvano pompa d'armi dorate, di collane e braccialetti d'oro, di tracolle lavorate in argento e in corallo, strascinando al fianco destro lunghe sciàbole, talvolta di rame temprato; portàvano saj vergati di splèndidi colori, e grandi scudi quadrilunghi con imprese gentilizie, rozzamente dipinte o intagliate; e sopra gli elmi affiggèvano figure d'augelli o di fiere, o alte corna di bùfali o di cervi, e grandi pennacchj ondeggianti; nutrìvano lunghi mustacchi e lunghe chiome tinte in rosso; e alcune nazioni si dipingèvano d'azzurro le braccia e il petto; combattèvano più sui carri che sui cavalli. Talora nelle battaglie, per insultare il nemico, o per brutale audacia, o per disperazione, gettàvano l'elmo e il sajo, e combattèvano nudi; tanta era l'esaltazione cavalleresca, nutrita in quelle rozze menti dalle memorie dei feroci antenati, ripetute dai bardi adulatori, che coll'arpa in collo erràvano di casale in casale.
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Romani
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