Poi tosto, per accordo coi Cenòmani, aperti i passi del Mincio, dell'Ollio, dell'Adda, irrùppero repentini nell'alta Insubria, trucidàrono le genti disperse ne' campi. I pòpoli sùrsero in armi; tràssero dal tempio della Vèrgine gl'immòbili vessilli d'oro (aureis vexillis quæ immobilia nuncupant. Polyb.); sostènnero con forze non intere un'aspra battaglia. L'anno seguente, il brenno Virdumaro e il cònsole Marcello s'incontràrono sul campo di Clastidio; si riconòbbero allo splendor delle divise; il cònsole trucidò il re nemico; passò il Po; sottomise Mediolano; portò in trionfo l'armatura dell'ucciso. Roma pose due colonie di veterani in Piacenza e Cremona; ma fùrono tosto fieramente combattute.
Comparve in quel mezzo Annìbale a piè dell'Alpi; si vìdero tra le foreste del Ticino le seminegre tribù del deserto. A quell'annunzio duemila Cisalpini, che costretti militàvano nel campo de' Romani, si lèvano notturni, ne fanno strage, pòrtano ad Annìbale i teschj sanguinosi. Su la Trebia, gl'Insubri combattèvano per Cartàgine; i Cenòmani, per Roma. Sessantamila guerrieri, accorsi in pochi giorni al grido della vittoria, sèguono Annìbale in Toscana. Al Trasimeno, l'insubre Ducario getta di sella e uccide il cònsole Flaminio. A Canne, fra cinquantamila soldati d'Annìbale, trentamila èrano Galli; e deliberati di far disperata prova, vènnero nudi sul campo (Galli super umbilicum erant nudi. Liv.); quattromila vi lasciàrono la vita; ma i cadàveri dei Romani, in quell'orrenda giornata, fùrono sessantamila.
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