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      XXIII.
     
      Negli anni seguenti, le famiglie tribunizie dei Marcellini e dei Cotta continuàrono ad estirpare la feudalità; abolìrono le tariffe che sembràvano vèndere la licenza dell'omicidio; persuàsero ai valvassori di rinunciare i loro squàllidi fèudi ai capitani, per farsi lìberi uòmini del commune; invàsero i fèudi del Monferrato e della Savoja; e nel mezzo di quelli, costruìrono la rocca di Cuneo, asilo ai fuggitivi. Federico II riaccese la guerra contro le città lombarde; trasse in Lombardia le tribù àrabe della Sicilia e dell'Apulia. I nostri intrèpidi padri le affrontàrono a Camporgnano; allagarono di notte il campo nemico; lo avviluppàrono fra un labirinto di fossi. - In quegli anni si vìdero generosi fatti. Il pòpolo milanese, dolente dei soprusi feudali non peranco estinti, ricusava di prèndere le armi contro i Pavesi, che devastàvano i poderi dei capitani. I giòvani cavalieri escìrono senza il pòpolo e respìnsero i predatori; ma nell'ebbrezza della vittoria non serbando gli òrdini della prudenza militare, fùrono raggiunti dai nemici nel ritorno, e messi alle strette. A quell'annunzio il pòpolo, immèmore d'ogni altra cosa, corse alle armi, e giunse in tempo a salvarli (an. 1242). - Panera Bruzzano, il più alto e più forte dei nostri campioni, sfidato sul campo a singolar tenzone dal re Enzo, figlio di Federico, lo vinse e lo fece prigione. Ma i Milanesi, senza far vendetta dei prigionieri slealmente uccisi, lo lasciàrono lìbero, a patto che non portasse le armi contro la loro città. - Voleva il pòpolo abolita la legge che stabiliva a sette lire e dòdici soldi il valore della vita d'un plebèo ucciso da un feudatario.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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