Uno dei signori da Landriano aveva ucciso a tradimento il suo creditore Guglielmo Salvo. Il cadàvere sanguinoso, scoperto sotto un mucchio di paglia, portato a Milano, ed esposto sulle piazze, accese di furore il pòpolo, che cacciò tutti i capitani; quindi andò di terra in terra ad espugnare le castella rurali. Si fècero molte paci; quella che fu detta di S. Ambrogio riconobbe nelle famiglie dei cavalieri e dei cittadini egual diritto a tutti gli onori consolari. Ma la legge bàrbara delle campagne, e la legge romana delle città non potèvano stare in pace sullo stesso terreno; la guerra era nella natura delle cose. Il pòpolo cacciò di nuovo i capitani; rifugiati in Como, li perseguitò e li espulse; ma nell'incàuto ritorno venne circondato fra le paludi di Prato Pagano, e ridutto a dure condizioni. Vinse di nuovo, e cacciò i capitani, che invocàrono il braccio del terribile Ezzelino. Questi passa l'Ollio, l'Adda, giunge fino a Vimercato; ma le milizie di tutte le città lo accèrchiano; ripassa l'Adda, è raggiunto, un giòvine bresciano lo ferisce e lo atterra; condutto prigione nel castello di Soncino, si squarcia le ferite e muore. Con lui cade la feudalità nella Venezia, per frutto di battaglie combattute sul nostro terreno.
XXIV.
Correva la metà incirca del sècolo XIII. Spuntava l'era moderna; èrano i tempi in cui nacque Dante; omai la nazione italiana era adulta e cominciava un nuovo òrdine di cose. Il pòpolo colle armi alla mano aveva tratto dalla feudale ineguaglianza un viver civile; ma la guerra, fra il risurgimento di tutte le industrie, tornava a farsi arte; e i cittadini non potèvano nello stesso tempo attèndere ai mestieri della pace, e pareggiare i giòvani delle famiglie militari nel maneggio delle armi e dei cavalli.
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