Il prigioniero, erede del ribelle signore di Crema, e preso colle armi alla mano contro lo Stato, doveva morire; ma un zio, ch'egli aveva nella casa del duca, gli implorò un indugio alla morte, e tanto fece che rimase obliato nel càrcere. Senonchè nelle splèndide giostre date ai re prigionieri, apparve un Gonzaga di Màntova così bello e prode cavaliero, che nessuno dei campioni del Duca potè tenergli fronte. Ne doleva fieramente al superbo Filippo. Allora il vecchio Corio, il zio di Venturino, venne a dirgli che vi era pure nel suo Stato un guerriero, che solo fra tutti poteva vìncere la prova. Il duca tutto lieto acconsentì; Venturino, tratto dal càrcere, adorno d'armi preziose, comparve improviso nell'ùltima giornata, come uomo che risurge dal sepolcro; rimandò sconfitto il Gonzaga; ebbe la libertà, il dono d'un palazzo in Milano, e d'un castello nell'Astigiana; e sposò la giovinetta del suo cuore, la figlia di Princivallo d'Asti.
XXIX.
Nel 1421, Carmagnola era entrato in Brescia colle armi di Filippo; cinque anni dopo, nello stesso giorno (16 marzo), vi entrò colle armi vènete; per sei mesi ancora si combattè intorno al castello; e solo al cader dell'anno Brescia fu tranquilla. Ma in dòdici anni il generoso pòpolo s'affezionò tanto a quella modesta e non umiliante signorìa vèneta, che quando il Piccinino comparve con ventimila uòmini per ricuperarla a Filippo, era troppo tardi. I Bresciani, sospese tosto le domèstiche inimicizie, proferìrono al magistrato i loro averi, spianàrono le case dei sobborghi, munìrono di ricche artiglierìe le mura; fècero una compagnìa di quattrocento che chiamàrono immortali, perchè altri dovèvano prender sempre il posto dei caduti.
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