Allora tutto l'esèrcito vèneto si spinse nelle valli del Tirolo; i Bresciani uscìrono dai monti; Piccinino preso in mezzo e disfatto si riparò con dieci cavalieri nel castello di Tenno. Ma nella stessa notte, l'astuto capitano, giovàndosi della breve statura che gli aveva dato il nome, si fece portar fuori in un sacco, come cadavere d'un appestato. Gettàtosi in una barca, raccolse le sue genti in quella stessa notte; e mentre il nemico lo credeva certa preda nel castello, egli volò a Verona, ove teneva secreti accordi; scalò le mura; prese la città; ma non la fortezza. I Vèneti delusi sopravènnero a furia; Verona, perduta da quattro giorni, fu ricuperata. - Intanto a Brescia si moriva di fame; l'inverno era asprìssimo; non v'èrano vìveri, nè legna, nè strami; èrano agghiacciate le fosse della città; e i nemici ad ogni istante sotto le mura. Attraverso alle desolate campagne appena si poteva apportar combattendo qualche pane bagnato di sangue; metà degli abitanti era perita, i supèrstiti si sostentàvano d'erbe selvagge e d'animali immondi. - Ma sull'aprirsi della primavera l'incostante Filippo richiamò Piccinino, lo mandò contro Firenze; apparve sul lago una flottiglia vèneta; Garda e Riva fùrono espugnate; Sforza vincitore passò il Mincio a insegne spiegate. - I Vèneti invitàrono cento cavalieri Bresciani a ricèvere le più solenni grazie del doge. Brescia rimase sùddita; ma con autorità di mutare le sue leggi municipali, e con giurisdizione su tutto il territorio; il nome vèneto divenne più caro ai Bresciani, che in tutte le guerre d'Italia e d'Oriente fùrono sempre prò
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