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      dighi a Venezia di denaro e di combattenti. - I fatti di quell'assedio pròvano due cose contro la maggioranza degli scrittori: - che il fondamento del dominio vèneto non era il terrore, ma una nòbile amicizia dei pòpoli, - e che le guerre dei conduttieri, prima della discesa di Carlo VIII, non èrano di giostre pompose, ma di fiere battaglie.
     
     
      XXX.
     
      I Duchi di Milano non avèvano un potere nato coi pòpoli e intessuto alla legge e alla tradizione; èrano privati; posti per forza e per arte disopra agli eguali. Quindi nelle case ghibelline uno sdegno di quella grandezza frodata; e nelle case guelfe la fede indelèbile ch'era un diritto tolto alla chiesa e al commune. La chiesa e l'imperio fùrono sempre i due divisi principj, all'uno o all'altro dei quali corrèvano le menti, bisognose d'afferrare un filo di ragione e di stabilità tra le volùbili fortune dei conduttieri. I Visconti, in mezzo agli uòmini d'arme e alle fortezze, dovèvano ancora acquistarsi il tìtolo ora di Vicarj imperiali, ora di Vicarj pontificj. Gian Galeazzo, egli che voleva morir coronato, pagò centomila scudi d'oro il nome di duca. Quando il re Sigismondo scese senz'armi a cìngere la corona d'Italia, l'astro dei Visconti impallidì; gli eredi dei fèudi ghibellini accorrèvano al suono del nome imperiale. Indarno il Petrarca già da lungo tempo aveva detto ch'era un nome vano e un ìdolo; intorno a quell'ìdolo e nel suo nome essi ritornàvano eguali, eguali per un giorno, ai loro armati signori. - Non poteva Filippo Visconti mostrarsi fra il tumulto di quegli omaggi; parer sùddito; non più prìncipe, ma gentiluomo di prìncipe.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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