Barbaramente pomposo, quando intraprese colla sua sposa un viaggio a Firenze, con accompagnamento di cinquanta superbi corsieri, e d'una folla d'uòmini d'arme, e di cortigiani ornati di collane d'oro e di velluti, con duecento muli da càrico, due mila cavalli e cinquecento coppie di cani, rimase umiliato dalla modesta e delicata eleganza fiorentina. - Poco dopo la sua morte, gli Svìzzeri, discesi nelle valli del Ticino, tentàrono penetrare nelle Tre Pievi del Lario; ma gli abitanti li còlsero fra quelle strette e li respìnsero. Il governo Sforzesco volle snidarli allora anche dalla Leventina, il cui pòpolo era secoloro in alleanza. Il conte Torello con quìndici mila soldati e molte artiglierìe s'inoltrò nelle valli; incontrò i Leventini, comandati dal capitano Stanga di Giornico, che lentamente ritraèndosi, lo condusse in un piano, inondato ad arte colle aque del Ticino. Era tardo dicembre; la notte rìgida converse la valle in un campo di gelo; all'alba i Leventini, correndo sul ghiaccio colle scarpe ferrate, assalìrono gli uòmini d'arme, che non potendo reggersi in piede, cadèvano d'ogni parte alla rinfusa sui loro cavalli, e sotto una frana di sassi, che i montanari dirupàvano dalle imminenti balze. Ma il prode Stanga, càrico di ferite, al ritorno cadde moribondo sulla porta della paterna sua casa.
XXXII.
Il ducato era salito a miràbile floridezza colle arti della lana, della seta, dei metalli, e sopratutto delle armature; oltre a' suoi mercanti e banchieri, stabiliti in Francia e in Germania, possedeva il porto di Gènova e si giovava di quello di Venezia; l'Amèrica si scopriva a quei giorni, il Capo di Buona Speranza non era ancora girato; e la linea dei nostri laghi e del Reno era la gran via del commercio dall'Oriente alle Fiandre, ove facèvano scala tutti i pòpoli del settentrione.
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