Fu l'esèrcito vèneto che minacciando gli Svìzzeri alle spalle, li costrinse a svèllere le bandiere dal campo di Meregnano. Fu Pròspero Colonna che alla volta sua piombò sopra Milano, quando Lautrec dormiva; e gli Spagnoli che saccheggiàrono Como, èrano suoi soldati. Ma gli Stati d'Italia non avèvano un principio civile, il quale potesse unire questi prodi sotto un'insegna, che non fosse quella dell'odio domèstico o della privata fortuna; v'era una tradizione di diffidenza e di perversità nei consigli delle corti. Poco prima della prigionìa del Moro, seimila ghibellini si armàrono in odio al Trivulzio, lo cacciàrono di Milano; ma Ludovico non badò a quel valore; mercantava in quel momento medèsimo gli Svìzzeri che dovèvano tradirlo. Il cancellier Morone cacciò un'altra volta Trivulzio colle forze dei cittadini; poi li condusse alla presa d'Asti e d'Alessandria; poi colla voce del frate Andrèa Barbato li accese di nuovo alle armi sulla piazza di S. Marco; li condusse sui prati della Bicocca ad affrontare gli Svìzzeri, e rimandarli pesti e sanguinosi alle loro montagne. I giòvani seguìrono un'altra volta il loro duca, e cacciàrono i Francesi d'Abbiategrasso; ma tra le spoglie dei caduti raccòlsero il germe d'una pestilenza che divorò cinquantamila cittadini. Un altro dei nostri, il Mèdici di Meregnano, consumava indarno il suo valore a fondarsi un principato sopra una rupe del Lario; si vendeva agli Spagnoli, ministro d'orrìbile esterminio a Siena. Il Morone, il Trivulzio, il Meregnano, e altri uòmini di siffatto vigore, che vìssero o prima o poi, rimàsero sconnessi e inùtili frammenti d'una màchina poderosa, che in pugno a un vero prìncipe, e animata da tanta opulenza e da tanto crèdito, poteva scuòtere l'Europa ben più che le poche turbe collettizie del re Francesco.
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