XXXV.
La più funesta e sanguinosa sventura fu quella di Brescia. La giornata di Ghiara d'Adda aveva distrutto le forze terrestri de' Vèneti, i quali con accorgimento profondo sciòlsero dal giuramento le città suggette; nè vòllero insanguinarle colla difesa, certi che la preda avrebbe diviso i vincitori, e la licenza militare avrebbe offeso i pòpoli, e assicurato il riacquisto. E per verità il volùbile Giulio II si volse tosto contra i Francesi; Pàdova e Vicenza li cacciàrono. Un Martinengo tentò lo stesso in Brescia, ma vi perdè la vita; la Francia prese in ostaggio i primarj cittadini, e introdusse in città nuove genti, che acquartierate nelle case insultàvano al domèstico onore. La città fremeva; nove cavalieri, Rosa, Paitone, Rozzone, Valgoglio, Fenarolo, Lana, Gandino, Lantana e Martinengo, su la pietra d'un altare giuràrono di mèttere i beni e la vita a redimer Brescia alla legge vèneta. Il conte Avogadro faceva altro simil patto con Venezia; le case di Brescia si empìrono d'armati; al prefisso giorno il generale vèneto passò l'Adige, giunse presso sera a Montechiaro; ma fu visto. Pochi momenti dopo, l'annuncio era in Brescia; fra il silenzio della notte fatale i Francesi scaricàrono d'improviso tutte le loro artiglierìe; e armati e rumorosi còrsero tutta la città; i Vèneti, giunti sotto le mura, le vìdero piene di nemici. All'alba i nomi di trenta cavalieri bresciani fùrono gridati ribelli; - la morte, a chi li ricettasse; - i loro beni e il grado di capitano di Francia, a chi li scoprisse.
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