La scoperta dei componenti dell'aqua era un ultimo gradino in una lunga scala di pensieri, a edificar la quale avevano collaborato molte generazioni. Essa non era l'opera delle facultà solitarie d'un uomo, bensì quella delle facultà associate di più individui e di più nazioni.
È dunque una necessità della costruzione scientifica ch'essa surga nel seno d'una società, anzi di molte società, dimodoché al mancar dell'una per qualche avversità l'opera possa venir continuata da un'altra.
All'elaborazione della scienza non basterebbero dunque tutte le facultà dell'intelletto, se l'uomo non fosse già per istinto di natura un essere socievole, s'egli avesse, non l'istinto del castoro, ma quello dell'aragno il quale abita solitario nel centro della sua tela. Ecco dunque l'istinto entrare nell'opera scientifica come un necessario coefficiente.
E v'entrano altri istinti. V'entra quel bisogno di communicare altrui i proprii sentimenti e pensieri, che vediamo nella più inculta feminetta. Quindi lo spontaneo sforzo d'imparar la parola e di formarla; lavoro che noi andiamo proseguendo coll'imporre un nuovo vocabolo ad ogni nuova scoperta, all'ossigene, al silicio, alla locomotiva. E se analizziamo le nostre lingue, noi troviamo che le voci scientifiche più astratte sono traslati o derivati d'umili vocaboli d'ordine concreto e sensuale. E se spingiamo l'analisi più avanti e riduciamo i derivati alle radici, troviamo residuare al fondo d'ogni più dotta lingua un capo morto di pochi monosillabi, di suono per lo più imitativo.
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