Pagina (18/74)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Ma consideriamo l'uomo al sito vero, che gli spetta nella catena dei viventi, consideriamolo come un genere naturalmente e spontaneamente gregario come l'antilope, sociale come il castoro, famiglievole come il colombo. Anche nella vita spontanea e primitiva, l'intelletto, quantunque appena galleggiante sopra gli istinti della natura animale, già tende al sistema. Il selvaggio conosce appena il clima del suo cielo, le selve e le sabbie della sua terra; è rinchiuso in un'isola in mezzo all'interminato oceano; eppure egli sospinto da quelle interne potenze che sono indivisibili dal suo essere, fa già sistema di quanto gli sta intorno. Egli ha già qualche cosa da aggiungere a ciò che i suoi sensi gli dicono del sole e della luna, del vento e della pioggia, delle erbe e degli animali.
      E dove rinviene il selvaggio l'idea-principio intorno alla quale unificare tutte le altre? Il selvaggio, flagellato assiduamente dalle necessità della vita, non si cura se non di ciò ch'è necessario alla vita. Tutto ciò che non è cibo e bevanda, tutto ciò che non è caccia o battaglia, tutto ciò che non può nuocere al suo nemico, né giovare a quel gruppo di viventi col quale egli è immedesimato, è nulla per esso; esso non lo vede e non l'ode. Tutti i viaggiatori hanno notato codesta incuria del selvaggio per tutto ciò che non entra nel rigido circolo de' suoi pensieri. La fame, la sete, la stanchezza, come lo spavento, l'amore, la vendetta lo richiamano sempre a sè e a' suoi. V'è una voce che suona unica e assidua nella sua coscienza, la voce dell'egoismo, ciò che la scienza chiama l'io; intorno al qual io si avvolge la famiglia; e insieme ad essa ed alla tribù amica, si avviticchia come fascio di spine la tribù nemica.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Psicologia delle menti associate
di Carlo Cattaneo
pagine 74