PRIMA PARTE
Scrivo queste pagine con disgusto, con rivolta dell’anima: ma le scrivo colla coscienza serena, dopoché per più giorni, tentando il possibile, resistendo a provocazioni che avrebbero stancata la pazienza di un santo, ho sperato di evitare a me stesso la fatica amara di doverle scrivere. Tentativo di speranza di cui nessun merito avrei, se proseguissi un qualunque interesse mio o mi tentasse qualsiasi povera ambizione: perché sol chi vuol salire, naturalmente desidera trovar meno aspri i gradini. Ma, finito appena sia il compito, che verso il Paese m’imposi, so di poter dimostrare la mia ambizione sola qual era, e invoco l’ora di poter in altr’aria, fra ben altre memorie, rifarmi dell’aria respirata fin qui.
Ho sperato più giorni si aprisse qualche porta per cui s’uscisse dalla situazione convulsa, impossibile, creata al Paese e alla Camera, senza bisogno dì farmi sembrare cattivo. E dico impossibile, perché non serve dir ad un altro paese, come dire ad un uomo, di lavorare, di attendere utilmente ai propri interessi di casa, se non ha il cuore in pace, se ha una spina confittavi, se un martello nell’animo gli manda sossopra le idee. E inutile pretendere che un’assemblea rappresentativa funzioni, se vi son dentro cento o centocinquanta persone tormentate dal sospetto o dal convincimento di trovarsi in faccia ad un ministro disonesto. La tempesta di animi che impedisce alla Camera, al Paese, ogni utile lavoro proseguirà, finché la pietra dello scandalo non sia rimossa.
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