(Il Ressmann è vivo: è gentiluomo. Mi smentisca se io mento). Frattanto queste prime gravissime impressioni del Ressmann, non potevano non far grave senso in chi avea consentito la firma sulla fede del motivo addottogli e per alta cortesia verso un ministro dimissionario.
Qualunque sia il giudizio sulle decorazioni, non può piacere a nessun capo di Stato il sapere che una delle più alte onorificenze a cui si legano, oltre i confini, il nome nazionale e il prestigio del proprio paese, sia il frutto di un inganno e fregi il petto di uno straniero di mala fama.
Fu altissimo desiderio che, ad ogni buon fine e in attesa delle informazioni ulteriori che sarebbero giunte da Parigi, venisse per intanto tenuta in sospeso la registrazione del decreto, non che il rilascio della copia all’interessato.
È notorio difatti che per tutte queste pratiche burocratiche non occorrono ordinariamente mai meno di una quindicina di giorni e anche più.
Ma era destino che si andasse di sorpresa in sorpresa. La persona incaricata di eseguir l’alto ordine, va da Domenico Berti e trova, con suo stupore... che, per sospendere, è troppo tardi.
Che cosa era avvenuto?
Una cosa semplicissima: quella mattina stessa del 7 febbraio, appena uscito dalla udienza di congedo reale, colla stessa carrozza che già attendevalo, senza perdere un minuto, Francesco Crispi era andato dritto dritto dal Quirinale al Magistero degli Ordini, era piombato come una saetta, povero Berti, e, messogli il decreto firmato sotto il naso, ne aveva reclamata la registrazione immediata e il rilascio della copia in giornata.
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