Questo nessun pratico lo fa, bisognerebbe essere un imbecille. Quando si fanno le ricevute in questi casi, si fanno in forma prudenziale, come la tua:
“Ricevo la fav. v. col noto documento. Mi metto subito all’opera e riusciremo presto”.
Ma è appunto per questo che si ricorre in questi casi ad altre prove! E tu hai già confessato anche troppo il 18 marzo 1893, quando all’annunzio della scoperta delle 50.000 pagateti, invece di scattar furibondo, hai balbettato nel dispaccio della Stefani che erano pagamento d’onorari vecchi: fu incauto confessare il pagamento, mentre del titolo che ne hai addotto ti è mancata la prova! Io, invece, ho dovuto e potuto provarti colla testimonianza precisa del relatore della inchiesta, colla testimonianza solenne del suicida in persona, colla lettera Reinach 24 marzo - ammessa dalla Riforma tardivamente e per forza - che il titolo era un altro: che le cinquantamila lire furono date per il cordone di Herz - e per niente altro.
È prova piena sì o no?
Dopo scoperte le tue bugie e dopo letti i tuoi precedenti, basterebbe ad un magistrato la decima parte di quella prova!
Ma la prova esubera, perché il signor Crispi e la Riforma si incaricavano di completarla.
Io non so immaginare - dopo quello che siamo venuti scoprendo - documenti più gravi per il Crispi di quella lettera Reinach del 30 aprile 1891 e di quella lettera Crispi del 4 maggio successivo che la Riforma “disorientata” ha commesso la imprudenza di pubblicare.
Il 30 aprile (quasi un mese e mezzo dopo che il decreto era stato annullato dal re) Reinach scriveva a Crispi (Riforma 29 marzo 1893): “sono davvero molto infelice perché non mi fate questo piacere e favore”. Lamento che concorda perfettamente con quello dell’altra sua lettera trovata nel piego: “Ho dato a Crispi cinquantamila lire per un affare che poi non ha fatto”.
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