A 24 anni, a 22 anni i fratelli Bandiera e Domenico Moro nel luglio 1844 avevano la vocazione di morir per l’Italia e farsi fucilare dai soldati del Borbone nel Vallone di Rovito. A 26 anni, nel dicembre 1845 - un anno e mezzo dopo - Francesco Crispi aveva quella di procurar impieghi del Borbone per denaro.
Un contratto lecitissimo, non c’è che dire; anzi il reduce di Londra e gli altri scribi della Casa assicurano che vi furono a Napoli “numerosi avvocati, giovani specialmente, che patrocinavano affari personali presso i dicasteri centrali governativi e tali patrocinatori chiamavansi appunto avvocati ministeriali: e l’avvocato Francesco Crispi era del numero”, sicché era proprio una cosa bellissima; tanto vero che fu rogata da notaio.
Lo spionaggio ansioso, sporco, affannoso, esercitato in questi giorni dal servitorame di casa Crispi intorno a me - spinto fino al nauseante spettacolo di membri del governo postisi alle costole di intimi miei - se ha ben rivelato come sentasi di coscienza il padrone, che per non dar di sé conto, ai 15 dicembre scappava - meritava dopo tutto un castigo.
Che del resto il Crispi già ventiseienne all’epoca che i Bandiera e i Moro e tanti altri più giovani di lui per l’Italia eran già morti - non desto ancora agli entusiasmi italici, fosse perfettamente a posto suo nel delicato ufficio che esercitava allora - e che spiega tanta parte del Crispi di poi - cioè si fosse cattivate le simpatie vive e le buone grazie del Borbone - che era il requisito indispensabile per esercitarlo, questo neanche i suoi stessi biografi panegiristi lo negano.
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