Ei se l’era cattivate colle sue prose borboniche del 1840 e 1841 nel giornale di Palermo l’Oreteo (dove eravate intanto voi pensatori e cospiratori e martiri della Giovane Italia?) in onore e gloria di Ferdinando di Borbone e della sua casa “a cui era data (sue parole) la gloria di rigenerare la Sicilia”. [...]Né io le ricorderei qui, se non avessi le orecchie stanche alla nausea dal sentir tutti i giorni gli scribi della Casa, ad ogni legittima censura degli atti del padrone, rispondere col ritornello che egli stava facendo l’Italia, mentre i censori non erano nati.
E fu in grazia di quelle prose che Francesco Crispi, da Palermo tramutandosi al foro di Napoli, ottenne la grazia specialissima – riservata solo ai ben pensanti - della dispensa dall’esame rigorosamente prescritto per la iscrizione regolare nel foro napoletano: grazia secondo quanto fu detto allora e poi, personalmente e direttamente chiesta al re: tanto che gli stessi biografi panegiristi non lo impugnano e il povero Leone Fortis nella biografia per commissione è ridotto a confessare, che anche “data od esclusa la domanda diretta e personale è certo che la concessione fatta al Crispi dovette avere il beneplacito del re, come è fuor di dubbio cheCrispi per l’esercizio della sua professione, ebbe a chiedere frequenti udienze del Borbone - il quale fu sempre con lui affabile e cortese e fece spesso ragione ai suoi reclami tanto che Crispi stesso riconosce di non avere a che lodarsi dei rapporti avuti con lui”.
Ah, gli amici!
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