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      Attesi continuamente in Firenze a imparare sotto la bella maniera di Michelagnolo, e da quella mai mi sono ispiccato. In questo tempo presi pratica e amicizia istrettissima con uno gentil giovanetto di mia età, il quale ancora lui stava allo orefice. Aveva nome Francesco, figliuolo di Filippo di fra Filippo eccellentissimo pittore. Nel praticare insieme generò in noi un tanto amore, che mai né dí né notte stavamo l'uno senza l'atro: e perché ancora la casa sua era piena di quelli belli studii che aveva fatto il suo valente padre, i quali erano parecchi libri disegnati di sua mano, ritratti dalle belle anticaglie di Roma; la qual cosa, vedendogli, mi innamororno assai; e dua anni in circa praticammo insieme. In questo tempo io feci una opera di ariento di basso rilievo, grande quanta è una mana di un fanciullo piccolo. Questa opera serviva per un serrame per una cintura da uomo, che cosí grandi alora si usavono. Era intagliato in esso un gruppo di fogliame fatto all'antica, con molti puttini e altre bellissime maschere. Questa tale opera io la feci in bottega di uno chiamato Francesco Salinbene. Vedendosi questa tale opera per l'arte degli orefici, mi fu dato vanto del meglio giovane di quella arte. E perché un certo Giovanbatista, chiamato il Tasso, intagliatore di legname, giovane di mia età a punto, mi cominciò a dire che, se io volevo andare a Roma, volentieri insieme ne verrebbe meco - questo ragionamento che noi avemmo insieme fu poi il desinare a punto - e per essere per le medesime cause del sonare adiratomi con mio padre, dissi al Tasso: - Tu sei persona da far delle parole e non de' fatti -. Il quale Tasso mi disse: - Ancora io mi sono adirato con mia madre, e se io avessi tanti quattrini che mi conducessino a Roma, io non tornerei indrieto a serrare quel poco della botteguccia che io tengo -. A queste parole io aggiunsi, che se per quello lui restava, io mi trovavo a canto tanti quattrini, che bastavano a portarci a Roma tutti a dua.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
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