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      Destossi la invidia da quelli cattivi maestri, che prima io avevo aúti, i quali si chiamavano Salvadore e Michele Guasconti: erano ne l'arte degli orefici tre grosse botteghe di costoro, e facevano di molte faccende; in modo che, veduto che mi offendevano, con alcuno uomo da bene io mi dolsi, dicendo che ben doveva lor bastare le ruberie che loro mi avevano usate sotto il mantello della lor falsa dimostrata bontà. Tornando loro a orecchi, si vantorno di farmi pentire assai di tal parole; onde io non conoscendo di che colore la paura si fusse, nulla o poco gli stimava.
     
      XVI. Un giorno occorse che, essendo appoggiato alla bottega di uno di questi, chiamato da lui, e parte mi riprendeva e parte mi bravava: al cui io risposi, che se loro avessin fatto il dovere a me, io arei detto di loro quel che si dice degli uomini buoni e da bene: cosí, avendo fatto il contrario, dolessinsi di loro e non di me. In mentre che io stavo ragionando, un di loro, che si domanda Gherardo Guasconti, lor cugine, ordinato forse da costoro insieme, appostò che passassi una soma. Questa fu una soma di mattoni. Quando detta soma fu al rincontro mio, questo Gherardo me la pinse talmente addosso che la mi fece gran male. Voltomi subito e veduto che lui se ne rise, gli menai sí grande il pugno in una tempia, che svenuto cadde come morto; di poi voltomi ai sua cugini, dissi: - Cosí si trattano i ladri poltroni vostri pari -: e volendo lor fare alcuna dimostrazione, perché assai erano, io, che mi trovavo infiammato, messi mano a un piccol coltello che io avevo, dicendo cosí: - Chi di voi esca della sua bottega, l'altro corra per il confessoro, perché il medico non ci arà che fare -. Furno le parole a loro di tanto spavento, che nessuno si mosse a l'aiuto del cugino.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
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