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      Questa cosa non mi messe punto di paura, e gli feci intendere che io lo andrei a dire al Papa subito. Intanto, a lui passato la stizza e a me la paura, sotto la fede di certi gran gentiluomini romani che il detto non mi offenderebbe, e con buona sicurtà del pagamento delle mie fatiche, messomi in ordine con un gra' pugnale e il mio buon giaco, giunsi in casa del detto monsignore, il quale aveva fatto mettere in ordine tutta la sua famiglia. Entrato, avevo il mio Paulino appresso con il vaso d'argento. Era né piú né manco come passare per mezzo il Zodiaco, ché chi contrafaceva il leone, quale lo scorpio, altri il cancro: tanto che pur giugnemmo alla presenza di questo pretaccio, il quale sparpagliò le piú pretesche spagnolissime parole che inmaginar si possa. Onde io mai alzai la testa a guardarlo, né mai gli risposi parola. A il quale mostrava di crescere piú la stizza; e fattomi porgere da scrivere, mi disse che io scrivessi di mia mano, dicendo d'essere ben contento e pagato da lui. A questo io alzai la testa e li dissi che molto volentieri lo farei se prima io avessi li mia dinari. Crebbe còllora al vescovo; e le bravate e le dispute furno grande. Al fine prima ebbi li dinari, da poi scrissi, e lieto e contento me ne andai.
     
      XXV. Da poi lo intese papa Clemente, il quale aveva veduto il vaso in prima, ma non gli fu mostro per di mia mano, ne prese grandissimo piacere, e mi dètte molte lode, e in pubblico disse che mi voleva grandissimo bene; a tale che monsignore Salamanca molto si pentí d'avermi fatto quelle sue bravate: e per rappattumarmi, per il medesimo pittore mi mandò a dire che mi voleva dar da fare molte grande opere; al quale io dissi che volentieri le farei, ma volevo prima il pagamento di esse, che io le cominciassi.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
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