In mentre che i danari si aspettavano, il Papa di nuovo piú adagio considerava in che bel modo io avevo accomodato il diamante con quel Dio Padre. Questo diamante l'avevo apunto messo in mezzo di questa opera, e sopra d'esso diamante vi avevo accomodato a sedere il Dio Padre in un certo bel modo svolto che dava bellissima accordanza, e non occupava la gioia niente: alzando la man diritta dava la benedizione. Sotto al detto diamante avevo accomodato tre puttini, che co le braccia levate in alto sostenevano il ditto diamante. Un di questi puttini di mezzo era di tutto rilievo; gli altri dui erano di mezzo. A l'intorno era assai quantità di puttini diversi, accomodati con l'altre belle gioie. Il resto de Dio Padre aveva uno amanto che svolazzava, dil quale usciva di molti puttini, con molti altri belli ornamenti, li quali facevano bellissimo vedere. Era questa opera fatta di uno stucco bianco sopra una pietra negra. Giunto i danari, il Papa di sua mano me gli dette, e con grandissima piacevolezza mi pregò, che io facessi di sorte che lui l'avessi a' sua dí, e che buon per me.
XLV. Portatomi via i danari e il modello, mi parve mill'anni di mettervi le mane. Cominciato subito con gran sollecitudine a lavorare, in capo di otto giorni il Papa mi mandò a dire per un suo cameriere, grandissimo gentiluomo bolognese, che io dovessi andar da lui, e portare quello che io avevo lavorato. Mentre che io andavo, questo ditto cameriere, che era la piú gentil persona che fussi in quella Corte, mi diceva che non tanto il Papa volessi veder quell'opera, ma me ne voleva dare un'altra di grandissima importanza; e questa si era le stampe delle monete della zecca di Roma; e che io mi armassi a poter rispondere a Sua Santità: che per questo lui me ne aveva avvertito.
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