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      LVIII. Tornò il Papa da Bologna, e subito domandò di me, perché quel Cardinale di già gli aveva scritto il peggio che poteva de' casi mia. Essendo il Papa innel maggior furore che immaginar si possa, mi fece intendere che io andassi con l'opera. Cosí feci. In questo tempo che il Papa stette a Bologna, mi si scoperse una scesa con tanto affanno agli occhi, che per il dolore io non potevo quasi vivere, in modo che questa fu la prima causa che io non tirai innanzi l'opera: e fu sí grande il male, che io pensai certissimo rimaner cieco; di modo che io avevo fatto il mio conto, quel che mi bastassi a vivere cieco. Mentre che io andavo al Papa, pensavo il modo che io avevo a tenere a far la mia scusa di non aver potuto tirare innanzi l'opera. Pensavo che in quel mentre che il Papa la vedeva e considerava, poterli dire i fatti: la qual cosa non mi venne fatta, perché giunto dallui, subito con parole villane disse: - Da' qua quell'opera; è ella finita? - Io la scopersi: subito con maggior furore disse: - In verità de Dio dico a te, che fai professione di non tener conto di persona, che se e' non fussi per onor di mondo io ti farei insieme con quell'opera gittar da terra quelle finestre -. Per la qual cosa, veduto io il Papa diventato cosí pessima bestia, sollecitavo di levarmigli dinanzi. In mentre che lui continuava di bravare, messami l'opera sotto la cappa, borbottando dissi: - Tutto il mondo non farebbe che un cieco fussi tenuto a lavorare opere cotali -. Maggiormente alzato la voce, il Papa disse: - Vien qua; che di' tu?


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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