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      Alle qual parole io risposi, che non desideravo altro al mondo che finire quella mia bella opera; ma che se la fossi d'altra materia che d'oro, io facilissimamente da per me la potrei finire; ma per essere a quel modo d'oro, bisognava che Sua Santità me ne dessi, volendo che io la potessi finire. A questo parole questo cortigiano plebeo disse: - Oimè, non chiedere oro al Papa, che tu lo farai venire in tanta còllora, che guai, guai a te -. Al quale io dissi: - O misser voi, la Signoria vostra, insegnatemi un poco come sanza farina si può fare il pane? cosí sanza oro mai si finirà quell'opera -. Questo guardaroba mi disse, parendogli alquanto che io lo avessi uccellato, che tutto quello che io avevo ditto riferirebbe al Papa; e cosí fece. Il Papa, entrato in un bestial furore, disse che voleva stare a vedere se io ero un cosí pazzo che io non la finissi. Cosí si stette dua mesi passati e se bene io avevo detto di non vi voler dar su colpo, questo non avevo fatto, anzi continuamente io avevo lavorato con grandissimo amore. Veduto che io non la portavo, mi cominciò a disfavorire assai, dicendo che mi gastigherebbe a ogni modo. Era alla presenza di queste parole uno milanese suo gioielliere. Questo si domandava Pompeo, il quale era parente stretto di un certo misser Traiano, il piú favorito servitore che avessi papa Clemente. Questi dua d'accordo dissono al Papa: - Se Vostra Santità gli togliessi la zecca, forse voi gli faresti venir voglia di finire il calice -. Allora il Papa disse: - Anzi sarebbon dua mali: l'uno, che io sarei mal servito della zecca che m'importa tanto; e l'altro, che certissimo io non arei mai il calice -. Questi dua detti milanesi, veduto il Papa mal voIto inverso di me, a l'ultimo possetton tanto, che pure mi tolse la zecca, e la dette a un certo giovane perugino, il quale si domandava Fagiuolo per soprannome.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
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