Intanto il Governatore e il Fiscale parte mi bravavano, parte mi esortavano, parte mi consigliavano, dicendomi che la ragione voleva, che uno che fa fare una opera a un altro, la può ripigliare a sua posta, e in tutti i modi che allui piace. Alle quali cose io dissi, che questo non lo prometteva la giustizia, né un papa non lo poteva fare; perché e' non era un papa di quella sorte che sono certi signoretti tirannelli, che fanno a' lor popoli il peggio che possono, non osservando né legge né giustizia: però un Vicario di Cristo non può far nessuna di queste cose. Allora il Governatore con certi sua birreschi atti e parole disse: - Benvenuto, Benvenuto, tu vai cercando che io ti faccia quel che tu meriti. - Voi mi farete onore e cortesia, volendomi fare quel che io merito -. Di nuovo disse: - Manda per l'opera subito, e fa di non aspettar la siconda parola -. A questo io dissi: - Signori, fatemi grazia che io dica ancora quattro parole sopra le mie ragione -. Il Fiscale, che era molto piú discreto birro che non era il Governatore, si volse a il Governatore, e disse: - Monsignore, facciàngli grazia di cento parole; pur che dia l'opera, assai ci basta -. Io dissi: - Se e' fussi qualsivoglia sorte di uomo che facessi murare un palazzo o una casa, giustamente potrebbe dire a il maestro che la murassi: "Io non voglio che tu lavori piú in su la mia casa o in su 'l mio palazzo": pagandogli le sue fatiche giustamente ne lo può mandare. Ancora se fossi un signore che facessi legare una gioia di mille scudi, veduto che il gioielliere non lo servissi sicondo la voglia sua, può dire: "Dammi la mia gioia perché io non voglio l'opera tua". Ma a questa cotal cosa non c'è nessuno di questi capi; perché la non è né una casa, né una gioia; altro non mi si può dire, se non che io renda e' cinquecento scudi che io ho aúti.
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